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Vita associativa 7 febbraio 2017

‘La professione giornalistica in Italia’, la crisi del settore nel rapporto di Lsdi

Oltre la metà degli iscritti all’Ordine sono sconosciuti all’Inpgi: 54402 su 105.076 (dato aggiornato al 31 settembre 2015). Delle 50.674 posizioni censite dall’istituto di previdenza, circa un terzo fa capo a lavoratori dipendenti, 2 su 3 sono di lavoratori iscritti in via esclusiva alla Gestione separata.

Un rapporto in crescita costante, quello tra dipendenti e autonomi (tra i quali vanno annoverati partite Iva, Cococo e prestatori d’opera occasionale), che nel 2015 – anno di riferimento dell’analisi – ha toccato il tetto di 65,5 lavoratori non dipendenti su 100 attivi.

Mentre resta sostanzialmente stabile la forbice tra la media dei redditi da lavoro autonomo e quella da lavoro dipendente. Con i redditi dei giornalisti subordinati in calo e i redditi dei titolari di partita Iva in lieve aumento (+7%). Mentre aumentano le dichiarazioni a reddito zero degli iscritti all’Inpgi2 e diminuisce il numero dei Cococo attivi, il cui reddito medio continua a scendere (il 56% ha dichiarato meno di 5000 euro).

Sono solo alcuni dei dati illustrati questa mattina in Fnsi dal collega Pino Rea e contenuti nell’aggiornamento del rapporto sulla professione giornalistica in Italia (che riportiamo in calce in versione integrale) redatto, come ormai da tradizione, da Lsdi – Libertà di stampa diritto all’informazione.

«Una crisi della professione che va di pari passo con la crisi del settore dell’editoria in Italia. E quello che potrebbe essere un antidoto alla emorragia di posti di lavoro, ovvero il giornalismo nativo digitale, appare ancora un fenomeno di difficile definizione», ha evidenziato Rea nella relazione introduttiva.

Una crisi confermata anche dalla presidente dell’Inpgi, Marina Macelloni, nella relazione al bilancio 2015 dell’istituto. E dal presidente di Casagit, Daniele Cerrato. «C’è un segnale di rallentamento della crisi, ma non c’è ancora un segnale di ripresa», ha osservato  Cerrato. E se il bilancio della Cassa torna in attivo nel 2016, dopo due esercizi in passivo, «pesano ancora molto – ha ribadito – i crediti non esigibili nei confronti di 400 aziende morose sulle circa 1400 iscritte».

Alcuni dati positivi cominciano a registrarsi, ma non bastano a dare l’impressione che la “tempesta perfetta” che il settore e la professione hanno dovuto fronteggiare sia già alle spalle. «Difficile cogliere inversioni di tendenza mentre le aziende si accingono a chiudere gli stati di crisi avviati negli anni scorsi», ha rilevato il segretario generale della Fnsi, Raffaele Lorusso.

«La legge di Bilancio 2017 – ha spiegato – ha stanziamento ulteriori fondi per i prepensionamenti e stiamo aspettando che i ministeri si pronuncino sulla riforma dell’Inpgi varata lo scorso settembre, ma non possiamo accettare che il governo si limiti ad accompagnare i giornalisti fuori dal mercato del lavoro senza pensare a misure strutturali per garantire a nuovi colleghi, tanti dei quali tra l’altro già pienamente inseriti nel circuito produttivo, il riconoscimento di diritti e tutele che oggi non hanno».

E se il welfare di categoria, anche rispetto a quanto accaduto in altri Paesi, in Italia tutto sommato ancora tiene, nonostante l’evasione da parte delle aziende, «è necessario vigilare perché il sostegno pubblico vada solo a quegli editori che rispettano tutti gli obblighi contrattuali, come prevede la nuova legge sull’editoria di cui stiamo attendendo i decreti attuativi».

Infine, tornando al giornalismo nativo digitale, Lorusso ha ricordato l’accordo tra Fnsi e Uspi per allargare alla platea dei giornalisti che lavorano nel settore dell’online le garanzie di un contratto di lavoro dipendente: «Bisogna prendere atto che l’organizzazione del lavoro in quelle aziende non è paragonabile a quello di realtà più strutturate. L’intenzione è rendere loro più sostenibile il costo del lavoro, rendendolo compatibile con le dimensioni di un mercato ancora in fase embrionale, e obbligarle al contempo a regolarizzare i giornalisti, con tutto quello che questo comporta in termini di retribuzioni, previdenza e assistenza. Un primo passo in questa direzione è stato fatto e in alcune regioni comincia a dare dei risultati».

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