Vertenze 10 marzo 2023
«Il 18 aprile il Riformista cambia nome e diventa l’Unità». Lo scrivono, in una nota, il Cdr e le redattrici e i redattori del quotidiano fondato da Antonio Gramsci. «Il 18 aprile – spiegano – l’Unità tornerà in edicola. Ma senza le giornaliste e i giornalisti che la storica testata della sinistra hanno difeso e fatto vivere anche negli anni bui e dolorosi della sua chiusura. In questo nuovo progetto editoriale noi, lavoratori dell’Unità licenziati nei giorni scorsi dal curatore fallimentare, semplicemente non esistiamo. Cancellati».
Il direttore designato Piero Sansonetti, proseguono giornaliste e giornalisti, «dirigerà un giornale realizzato, sia nella parte cartacea che in quella online, dai redattori de Il Riformista. I giornalisti e i poligrafici dell’Unità non saranno della partita. Viene, infatti, ignorata una questione cruciale, sancita da sentenze che fanno giurisprudenza: la testata sono anche i suoi lavoratori. Un legame indissolubile. Il 18 aprile semplicemente Il Riformista cambierà nome e si chiamerà l’Unità. Questo è il progetto, sicuramente inedito».
Per le lavoratrici e i lavoratori: «Siamo di fronte a un caso mai contemplato nel mondo del lavoro e che, soprattutto in ambito editoriale, può aprire scenari con esiti drammatici. Lo ribadiamo al direttore Sansonetti e all’editore Romeo: la testata sono anche i lavoratori. Un concetto tanto più vero nel caso dell’Unità, per la storia e il ruolo del quotidiano fondato da Antonio Gramsci, ma anche per l’abnegazione e i sacrifici con cui noi giornalisti e poligrafici ci siamo battuti per tenere in vita il giornale, unici, assieme alla Federazione nazionale della Stampa e alle Associazioni regionali, a denunciare la vivisezione della testata e dei suoi archivi. Siamo stati gli unici a pagarne le conseguenze».
Il 3 giugno 2017, incalza la nota della redazione, «l’Unità è stata chiusa per le scellerate scelte dell’editore Pessina, nel silenzio complice del Partito Democratico che ne deteneva una quota e alla quale ha poi rinunciato senza darne neanche comunicazione al Cdr. Nel frattempo, parliamo di un arco di tempo lungo 6 anni, si sono perse le tracce dell’archivio storico e di quello fotografico, patrimonio di questo Paese che, grazie alla nostra collaborazione e al nostro impegno, nei mesi scorsi sono stati indicati alla curatela fallimentare e ritrovati. Apprendiamo ora che anche l’archivio online è stato ceduto con la testata e appartiene al nuovo editore».
In conclusione, «non è una bella storia quella che raccontiamo e ai responsabili vecchi e nuovi diciamo un forte, corale “NO”. Non esiste spazzare via un intero corpo redazionale, parte indissolubile di un giornale che ha parlato sempre alla sinistra, che ha dato voce alle sue istanze. E tutto questo proprio ora con un governo di destra così aggressivo nei confronti dei fragili. Scusaci Sansonetti (cit.) ma proprio non va. E lo diciamo a voce alta, senza paura, con la schiena dritta che l’Unità ci ha insegnato ad avere».
Accanto alle lavoratrici e dei lavoratori si schiera, ancora una volta, il sindacato dei giornalisti. «La Federazione nazionale della Stampa italiana e l’Associazione Stampa Romana restano al fianco delle giornaliste e dei giornalisti dell’Unità esclusi da ogni opportunità creata dal nuovo progetto editoriale che nasce dalla vendita della testata nell’ambito della procedura fallimentare», affermano in una nota congiunta Alessandra Costante, segretaria generale della Fnsi, e Stefano Ferrante, segretario di Stampa Romana.
«Con questa scelta – proseguono – l’operazione si manifesta non come un’opportunità per il pluralismo dell’informazione, recuperando una testata fondamentale per la storia democratica del Paese con il suo patrimonio professionale, ma come una mera speculazione editoriale».
«Nel confronto con la curatela sui recenti licenziamenti – concludono Costante e Ferrante – la parte sindacale ha verbalizzato e sostenuto l’opportunità che l’acquirente della testata valutasse il coinvolgimento nel nuovo progetto editoriale dei colleghi della redazione. Purtroppo, l’assenza di obblighi normativi sul punto fa il paio con l’insensibilità e con l’ennesima ingiustizia subita dalle colleghe e dai colleghi dell’Unità, privati anche della loro storia».