Vertenze 5 settembre 2024
«Chi vuole mettere il bavaglio alla stampa è riuscito a completare l’opera. Dopo l’ok del parlamento a inizio anno, la norma Costa entra nel Codice di procedura penale. Il via libera di ieri in Consiglio dei ministri allo schema di decreto legislativo di modifica all’articolo 114, che impone il divieto di pubblicazione del testo dell’ordinanza di custodia cautelare finché non siano concluse le indagini preliminari o fino al termine dell’udienza preliminare, è una brutta notizia per i giornalisti e ancor più brutta per i cittadini, che non potranno conoscere per mesi fatti di rilevante interesse pubblico». Lo afferma Alessandra Costante, segretaria generale Fnsi.
«Il governo italiano – prosegue – usa due pesi e due misure: nei confronti dei balneari fatica a recepire una direttiva del 2006, la Bolkestein, nel caso dei giornalisti è riuscito ad approvare per ben due volte la direttiva sulla presunzione di non colpevolezza, prima con la riforma Cartabia e infine con la modifica al Codice di procedura penale».
«Il sindacato dei giornalisti – conclude Costante – continuerà la sua lotta per il diritto di informare ed essere informati, sempre più minacciato da leggi bavaglio, conferenze stampa a senso unico, politici che parlano attraverso video autoprodotti, querele fatte per bloccare l’attività dei cronisti. Leggi liberticide, incertezza occupazionale, stipendi bloccati da dieci anni e compensi da fame per i freelance stanno rendendo questo Paese meno democratico. Su questi temi chiediamo all’Europa di non spegnere il faro acceso nei mesi scorsi».
Sulla vicenda interviene anche il presidente Vittorio di Trapani, che sui social scrive: «Questo governo continua a smantellare l’art.21 della Costituzione. Mentre tiene in ostaggio la Rai perché impantanato nella guerra per spartirsi le poltrone, mentre ottiene 15 minuti in prima serata per l’intervista auto-assolutoria di un ministro ex dirigente Rai, il governo trova il tempo di imporre un nuovo bavaglio alla stampa e ai cittadini, che saranno meno informati. Un ritorno al passato che nulla ha a che vedere con il garantismo. In realtà il divieto di pubblicare le ordinanze di custodia cautelare è un piacere ai potenti che vogliono l’oscurità e ai colletti bianchi».
Usigrai: «Con lo stop alle ordinanze il bavaglio è servito»
«Il governo prepara un nuovo bavaglio per la stampa. Come primo atto dopo la pausa estiva, l’esecutivo ha varato il decreto legislativo che vieta la pubblicazione dell’ordinanza di custodia cautelare, il documento con cui un giudice riassume le accuse verso un arrestato, almeno fino alla fine dell’udienza preliminare, quindi per molti mesi. Dopo che il decreto diventerà legge, di un arrestato si potrà pubblicare letteralmente solo il reato ipotizzato ma non le prove raccolte». Lo sottolinea l’Usigrai.
«Per paradosso il giornalista per raccontare i motivi di una carcerazione potrà usare tutte le parole tranne quelle che il giudice ha usato nel suo atto di accusa – si legge ancora -. La conseguenza sarà un’informazione più opaca, parziale, e meno oggettiva. Un atto che lede il ruolo di garanzia che la libera stampa riveste a tutela di tutti i cittadini, specialmente di quelli privati della libertà. Un provvedimento che, insieme al cosiddetto decreto Cartabia sulla presunzione d’innocenza, che affida ai procuratori la responsabilità di decidere se di una inchiesta si debba parlare o meno, viene giustificato con lo slogan: ce lo chiede l’Europa».
«Fatto non vero – prosegue l’Usigrai -, perché la legge 343/2016 del parlamento e del consiglio europeo, a cui si rifà il governo, si rivolge esclusivamente alle autorità pubbliche, non non chiede di limitare le comunicazioni ai giornalisti, ma anzi raccomanda di tutelare la libertà di stampa. Più che a tutela di un arrestato, questo nuovo decreto appare un regolamento di conti verso la libera informazione; contribuisce a far perdere all’Italia posizioni nelle classifiche sulla libertà di stampa e appare in totale contrasto con l’European Media Freedom Act che tutela al massimo la libertà di stampa come fa anche dall’articolo 21 della nostra Costituzione».