Vita associativa 21 febbraio 2025
«Chi è in pensione può cumulare l’assegno pensionistico con un reddito da lavoro dipendente o autonomo, a patto che il nuovo rapporto di lavoro non sia già in essere al momento in cui si fa la domanda di pensione». Ma ci sono delle eccezioni. «Riguardano alcuni casi di pensioni anticipate come quota 100, quota 102, quota 103 e Ape sociale». Lo spiega Edmondo Rho, giornalista economico esperto di previdenza, consigliere del Fondo pensione giornalisti e curatore della rubrica Galassia Previdenza, in un’intervista alla collega Rossana Linguini per il numero del 22 febbraio 2025 del settimanale ‘Gente’.
«In questi casi – dice – c’è un tetto massimo al reddito cumulabile: nel caso di lavoro autonomo, per esempio, si può lavorare fino a 5 mila euro lordi l’anno di redditi ‘occasionali’ e bisogna stare attenti perché l’Inps, se non si rispetta la regola, può anche revocare la pensione. Tetto che non c’è più una volta compiuti i 67 anni d’età. Per chi va invece in pensione di vecchiaia o in pensione anticipata, ovvero con 42 anni e dieci mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e dieci mesi per le donne, non c’è alcun tetto».
In generale, tuttavia, si potrebbe porre un tema fiscale. «Se hai una pensione di 50 mila euro l’anno e ne guadagni altri 30 mila, su questi ultimi dovrai versare al Fisco il 43 per cento di Irpef, l’imposta sulle persone fisiche, più l’aliquota regionale e comunale Irpef, più i contributi previdenziali. In pratica quei 30 mila euro si riducono circa della metà. C’è poi una questione sociale – aggiunge Rho – perché al di là di alcuni casi per i quali esiste uno specifico interesse collettivo a che il pensionato continui a lavorare, che sia un medico di grande esperienza o un direttore di giornale particolarmente illuminato, restare al proprio posto oltre l’età pensionabile significa portare via il lavoro a un giovane».
In ogni caso i contributi versati dal pensionato-lavoratore, passati almeno cinque anni dalla decorrenza della pensione, possono andare a creare un supplemento di pensione che va a integrare l’assegno mensile. «È molto importante che il pensionato, una volta finito di lavorare, chieda all’Inps il ricalcolo della pensione per avere il supplemento», avverte il giornalista. «Sappiate che non c’è un automatismo su questo e se non si fa la domanda, l’aumento che ci spetta non arriverà mai. Come farla? Attraverso i patronati, quelli che di solito chiamiamo Caf, e che offrono un servizio gratuito di assistenza».
Chi ha maturato il diritto ad andare in pensione ma non ha voglia di fare il pensionato, può rinviare l’uscita dall’azienda e prendere uno stipendio più alto. Spiega ancora Rho: «È possibile grazie al cosiddetto bonus Maroni, che consente di trasformare in bonus per il dipendente i contributi Inps a suo carico, pari al 9,19 per cento e che possono andare in busta paga una volta che si è raggiunto il traguardo pensionistico».
C’è poi un’altra opzione a disposizione di lavoratrici e lavoratori che abbiano raggiunti i requisiti per la pensione, ovvero 67 anni di età e 20 di anzianità retributiva. «Al raggiungimento dei 67 anni le aziende possono interrompere il rapporto di lavoro ma non sono costrette. Se c’è un accordo tra lavoratore e aziende, infatti, si può andare avanti fino a 70 anni e oltre», conclude l’esperto.
PER APPROFONDIRE
L’intervista è stata pubblicata per la prima volta in un servizio uscito su ‘Gente’ n. 7 del 22 febbraio 2025. Il testo integrale è allegato di seguito.