Vita associativa 22 gennaio 2020
Il disegno di legge di riforma della diffamazione a mezzo stampa in discussione in commissione Giustizia al Senato va modificato, così da tutelare «la libera e corretta informazione che è garanzia fondamentale di democrazia». Lo chiedono Federazione nazionale della Stampa italiana e Federazione italiana editori, «insieme per il bene dei lettori e a tutela dei giornalisti e degli editori», sottolinea il presidente della Fieg, Andrea Riffeser Monti, aprendo la conferenza stampa promossa a palazzo Madama per fare il punto su quanto prevedono le norme al vaglio dei senatori.
Riffeser ribadisce la soddisfazione degli editori per la proposta di legge sulle liti temerarie presentata dal senatore Primo Di Nicola ed esprime, al contrario, preoccupazione per alcuni punti del ddl 812 (primo firmatario il senatore Caliendo). «Bene la previsione dell’eliminazione del carcere – premette – mentre non condividiamo le novità in tema di rettifica e di responsabilità penale di direttore e vice direttore, come non ci convincono le previsioni in materia di tribunale competente nel caso di pubblicazioni online».
Per il segretario generale della Fnsi, Raffaele Lorusso, «questa iniziativa congiunta si rende necessaria perché se il ddl fosse approvato così com’è – ammonisce – introdurrebbe di fatto un bavaglio alla libertà di stampa e di espressione colpendo le aziende, con sanzioni economiche, e i giornalisti, mettendo in discussione la vita stessa all’interno delle redazioni». Di qui l’opportunità di «chiedere congiuntamente al parlamento di intervenire su queste proposte che allontanerebbero ancora di più l’Italia dal resto d’Europa, in un contesto che vede il nostro Paese accumulare condanne in sede europea per la violazione della libertà di stampa e segnalazioni al Consiglio d’Europa di minacce ai cronisti».
Lorusso presenta poi i punti critici del disegno di legge. La ‘rettifica automatica’, per cui il direttore responsabile dovrebbe pubblicare il testo della rettifica senza titolo e senza commento, «il che – osserva – comprimerebbe la libertà di giornalista e direttore, mentre la Corte europea dei diritti umani dice che non possono essere imposti oneri troppo pesanti, come appunto l’obbligo di una rettifica automatica».
La previsione, a fronte della cancellazione della pena del carcere, più volte segnalata come incompatibile con l’articolo 10 della Convenzione europea, dell’aumento delle sanzioni pecuniarie previste oggi e senza prevedere alcuna proporzionalità, in riferimento alla capacità economica sia dell’impresa che del giornalista, mentre «le sentenze della Corte europea evidenziamo come una sanzione economica troppo pesante possa dissuadere il giornalista dal continuare a svolgere il suo lavoro», rileva Lorusso, aggiungendo che una tale norma «sarebbe un bavaglio per tanti colleghi che non hanno un contratto di lavoro dipendente e che devono fare affidamento solo sulla loro capacità economica».
Poi l’ipotesi che se l’offesa è recata a un corpo politico, amministrativo o giudiziario o ad autorità le pene siano ulteriormente aumentate. «Cioè si creano cittadini di serie A e cittadini di serie B. È come se il legislatore dicesse: scrivere di tutto, ma se scrivete di corpi politici l’eventuale pena sarà più alta», commenta il segretario della Fnsi.
A destare perplessità anche la possibilità che il giudice disponga interdizione o sospensione dall’esercizio della professione, interferendo di fatto nell’autonomia degli organismi professione; mentre resta l’esigenza di compenetrare valori diversi e ugualmente importanti, come il diritto all’oblio e il valore storico degli archivi dei giornali. Così come sembra poco incisivo l’intervento sulla tutela del segreto professionale. Infine la questione della definizione del foro competente nel caso in cui a essere querelate per diffamazione siano testate online. «Si prevede che il tribunale competente sia quello del luogo di residente del querelante, con un pesante aggravio dei costi che il giornale online dovrebbe sostenere per difendersi. Un deterrente al giornalismo di inchiesta», rimarca Lorusso.
Se queste norme diventassero legge, conclude il segretario Fnsi, «potrebbero incidere sulla capacità dei giornalisti di andare a illuminare quei territori dove regna il malaffare. Sia perché potrebbero essere i giornalisti a pagare, sia perché qualche editore potrebbe desistere di fronte alle eventuali spese. In gioco ci sono la libertà di informazione, il diritto dei cittadini ad essere informati, la democrazia in questo Paese. Per questo chiediamo una riflessione e una presa di coscienza in parlamento, fra i colleghi e nell’opinione pubblica. Il rischio è di intraprendere una china che ci porterebbe verso Paesi come Ungheria e Polonia».
Una posizione condivisa anche dal vice presidente per il settore quotidiani della Fieg, Francesco Dini, che evidenzia come «le aziende editoriali in questo modo non potrebbero lavorare e si troverebbero ad affrontare una condizione di grave asimmetria sul mercato rispetto ai player stranieri e agli over the top che, sfuggendo ad ogni normativa, resteranno gli unici a poter fare giornalismo di inchiesta. Lavoriamo con il sindacato dei giornalisti – annuncia – a delle proposte che possano disinnescare questo pericolo».
Nei prossimi giorni scade il temine per la presentazione dei subemendamenti al testo al momento al vaglio della commissione Giustizia di palazzo Madama. L’intenzione del sindacato dei giornalisti e della Federazione degli editori è di presentare una memoria ai parlamentari con l’auspicio che tengano in debita considerazione le osservazioni del mondo dell’informazione.