Lavoro autonomo 14 luglio 2023
Professioni sempre più rosa e gap di genere che tocca il 45%. Emerge dal focus Adepp “Donne professione” presentato mercoledì 12 luglio 2023 a Roma. «Questa indagine – ha sottolineato durante la presentazione dello studio Tiziana Stallone, vicepresidente Adepp e presidente Enpab – ha scardinato alcune idee preconcette sul gap reddituale di genere, mettendo in evidenza le reali esigenze delle donne. Questo è stato possibile perché siamo andati ad intervistare direttamente le libere professioniste e a colpirci non è stato il senso di discriminazione, le donne infatti non si sentono discriminate, ma la mancanza di un sostegno infrastrutturale per permettere alle professioniste di affrontare situazioni oggettive, quali la genitorialità o la cura dei propri genitori».
«Tra le finalità di questa indagine – ha aggiunto la presidente Stallone – vi è la volontà di individuare un’evoluzione futura del nostro welfare. Ci stiamo interrogando su quanto le nuove tecnologie, come ad esempio infrastrutture digitali per svolgere la professione online, possano essere di utilità, così come una guida ad un modo diverso di svolgere la professione, in forma aggregata, per far sì che si crei un’alleanza tra professionisti».
La presidente dell’Istituto di previdenza dei giornalisti, Marina Macelloni, ha aggiunto: «Le professioniste dedicano meno ore all’attività professionale: a fronte del 59% degli uomini che dedicano più di 8 ore al giorno, le donne si fermano al 40%. Questo perché da una parte devono dedicare molte più ore alla cura dei figli e dei familiari non autosufficienti e dall’altra non sempre possono usufruire di infrastrutture sociali adeguate. Inoltre, anche a causa dell’invecchiamento progressivo della popolazione vengono a mancare gli aiuti attualmente offerti dalle famiglie di origine».
All’evento ha partecipato anche il presidente dell’Adepp e dell’Enpam, Alberto Oliveti: «Tre parole: focus, donne, professione. In esse c’è già una sintesi importante. Credo che la componente femminile nel lavoro sia la nostra chance di rilancio. Per il nostro Paese e per la nostra società. Credo addirittura che il destino del servizio sanitario nazionale passi per l’azione delle donne. Nel campo del mondo del lavoro due sono i temi che devono essere sottolineati: uno è l’accesso al lavoro e l’altro è il mantenimento qualitativo. Credo che il futuro si giochi sulle competenze, sulla battaglia di cultura, soprattutto nelle professioni intellettuali, sulle motivazioni. Così come farà perno sulla flessibilità, che non è soltanto una questione soggettiva, ma ambientale, sociale, di contesto. Importante il concetto di conciliazione che è famiglia, prole, congiunti, con figlie che poi diventano ‘madri’ dei propri genitori. E infine un’altra parola fondamentale è Pil. Alla fine tutto si gioca sulla potenzialità di finanziamento. Per trovare il finanziamento a certe politiche di conciliazione dobbiamo fare prodotto interno lordo».
Dal focus emerge che la differenza di reddito dovuta al genere e riscontrabile in tutte le fasce. Già al momento dell’ingresso nel mercato del lavoro il reddito delle professioniste ‘under 30’ è circa il 20% in meno dei colleghi uomini. Altro elemento di valutazione, trova evidenza nella ‘storicità’ della presenza più massiccia delle donne all’interno di alcune categorie professionali come quelle dei biologi, psicologi, infermieri e veterinari, dove le differenze tra uomo e donna in termini reddituali fino ai ’30 anni’ sono piuttosto contenute (mediamente il 10%).
In linea più generale un fattore che sicuramente incide sul valore medio reddituale e il costante processo di femminilizzazione delle libere professioni infatti, nel periodo 2007-2021, la percentuale di iscritte donne è cresciuta notevolmente, passando dal 30 al 42% del totale ma con grosse differenze per fasce d’età con la conseguenza che l’età media delle donne professioniste è di circa 45 anni, contro i 50 degli uomini, e tra gli ‘under 40’ le donne sono circa il 54%, percentuale che decresce con l’aumentare dell’età.
Alla domanda di chi si occupa dei figli mentre lavori, il 66% degli uomini ha risposto che è la compagna a occuparsene. La stessa domanda posta alle donne ha ricevuto il 17% delle risposte riferite al proprio compagno. Stessa riflessione vale per le professioniste che si dedicano anche alla cura di genitori anziani e/o familiari non autosufficienti: la questione non attiene specificamente alla maternità ma più in generale a tutte le tipologie di cure domestiche
La maggioranza delle professioniste – sia con figli che senza figli, sia del Nord, sia del Sud – ha dichiarato che l’urgenza che andrebbe prioritariamente affrontata per ridurre le disparita e quella legata all’area geografica in cui si esercita la professione e solo dopo quella legata al genere. Una professionista che esercita la sua attività al Nord, è coadiuvata maggiormente nella gestione familiare da figure esterne all’ambito familiare – ad esempio baby sitter, asili, centri ricreativi per l’infanzia – mentre al Sud, poiché le infrastrutture sociali sono meno presenti e inevitabilmente i servizi sono più carenti, l’aiuto della famiglia risulta ancora indispensabile per garantire la conciliazione vita-lavoro.
Pertanto, un elemento determinante nell’aggravare la situazione occupazionale delle madri è l’inaccessibilità dei servizi educativi per la prima infanzia. Sia per una carenza di strutture, sia per questioni economiche. A fronte del 15% degli uomini del Sud che si trasferisce al Nord e del 10% che si trasferisce al Centro, si registra una percentuale ben più elevata delle donne che si trasferiscono: il 21% delle donne del Sud si trasferisce al Nord e il 18% si trasferisce al Centro.
Professioni sempre più rosa e gap di genere che tocca il 45%. Emerge dal focus Adepp “Donne professione” presentato mercoledì 12 luglio 2023 a Roma. «Questa indagine – ha sottolineato durante la presentazione dello studio Tiziana Stallone, vicepresidente Adepp e presidente Enpab – ha scardinato alcune idee preconcette sul gap reddituale di genere, mettendo in evidenza le reali esigenze delle donne. Questo è stato possibile perché siamo andati ad intervistare direttamente le libere professioniste e a colpirci non è stato il senso di discriminazione, le donne infatti non si sentono discriminate, ma la mancanza di un sostegno infrastrutturale per permettere alle professioniste di affrontare situazioni oggettive, quali la genitorialità o la cura dei propri genitori».
«Tra le finalità di questa indagine – ha aggiunto la presidente Stallone – vi è la volontà di individuare un’evoluzione futura del nostro welfare. Ci stiamo interrogando su quanto le nuove tecnologie, come ad esempio infrastrutture digitali per svolgere la professione online, possano essere di utilità, così come una guida ad un modo diverso di svolgere la professione, in forma aggregata, per far sì che si crei un’alleanza tra professionisti».
La presidente dell’Istituto di previdenza dei giornalisti, Marina Macelloni, ha aggiunto: «Le professioniste dedicano meno ore all’attività professionale: a fronte del 59% degli uomini che dedicano più di 8 ore al giorno, le donne si fermano al 40%. Questo perché da una parte devono dedicare molte più ore alla cura dei figli e dei familiari non autosufficienti e dall’altra non sempre possono usufruire di infrastrutture sociali adeguate. Inoltre, anche a causa dell’invecchiamento progressivo della popolazione vengono a mancare gli aiuti attualmente offerti dalle famiglie di origine».
All’evento ha partecipato anche il presidente dell’Adepp e dell’Enpam, Alberto Oliveti: «Tre parole: focus, donne, professione. In esse c’è già una sintesi importante. Credo che la componente femminile nel lavoro sia la nostra chance di rilancio. Per il nostro Paese e per la nostra società. Credo addirittura che il destino del servizio sanitario nazionale passi per l’azione delle donne. Nel campo del mondo del lavoro due sono i temi che devono essere sottolineati: uno è l’accesso al lavoro e l’altro è il mantenimento qualitativo. Credo che il futuro si giochi sulle competenze, sulla battaglia di cultura, soprattutto nelle professioni intellettuali, sulle motivazioni. Così come farà perno sulla flessibilità, che non è soltanto una questione soggettiva, ma ambientale, sociale, di contesto. Importante il concetto di conciliazione che è famiglia, prole, congiunti, con figlie che poi diventano ‘madri’ dei propri genitori. E infine un’altra parola fondamentale è Pil. Alla fine tutto si gioca sulla potenzialità di finanziamento. Per trovare il finanziamento a certe politiche di conciliazione dobbiamo fare prodotto interno lordo».
Dal focus emerge che la differenza di reddito dovuta al genere e riscontrabile in tutte le fasce. Già al momento dell’ingresso nel mercato del lavoro il reddito delle professioniste ‘under 30’ è circa il 20% in meno dei colleghi uomini. Altro elemento di valutazione, trova evidenza nella ‘storicità’ della presenza più massiccia delle donne all’interno di alcune categorie professionali come quelle dei biologi, psicologi, infermieri e veterinari, dove le differenze tra uomo e donna in termini reddituali fino ai ’30 anni’ sono piuttosto contenute (mediamente il 10%).
In linea più generale un fattore che sicuramente incide sul valore medio reddituale e il costante processo di femminilizzazione delle libere professioni infatti, nel periodo 2007-2021, la percentuale di iscritte donne è cresciuta notevolmente, passando dal 30 al 42% del totale ma con grosse differenze per fasce d’età con la conseguenza che l’età media delle donne professioniste è di circa 45 anni, contro i 50 degli uomini, e tra gli ‘under 40’ le donne sono circa il 54%, percentuale che decresce con l’aumentare dell’età.
Alla domanda di chi si occupa dei figli mentre lavori, il 66% degli uomini ha risposto che è la compagna a occuparsene. La stessa domanda posta alle donne ha ricevuto il 17% delle risposte riferite al proprio compagno. Stessa riflessione vale per le professioniste che si dedicano anche alla cura di genitori anziani e/o familiari non autosufficienti: la questione non attiene specificamente alla maternità ma più in generale a tutte le tipologie di cure domestiche
La maggioranza delle professioniste – sia con figli che senza figli, sia del Nord, sia del Sud – ha dichiarato che l’urgenza che andrebbe prioritariamente affrontata per ridurre le disparita e quella legata all’area geografica in cui si esercita la professione e solo dopo quella legata al genere. Una professionista che esercita la sua attività al Nord, è coadiuvata maggiormente nella gestione familiare da figure esterne all’ambito familiare – ad esempio baby sitter, asili, centri ricreativi per l’infanzia – mentre al Sud, poiché le infrastrutture sociali sono meno presenti e inevitabilmente i servizi sono più carenti, l’aiuto della famiglia risulta ancora indispensabile per garantire la conciliazione vita-lavoro.
Pertanto, un elemento determinante nell’aggravare la situazione occupazionale delle madri è l’inaccessibilità dei servizi educativi per la prima infanzia. Sia per una carenza di strutture, sia per questioni economiche. A fronte del 15% degli uomini del Sud che si trasferisce al Nord e del 10% che si trasferisce al Centro, si registra una percentuale ben più elevata delle donne che si trasferiscono: il 21% delle donne del Sud si trasferisce al Nord e il 18% si trasferisce al Centro.
Professioni sempre più rosa e gap di genere che tocca il 45%. Emerge dal focus Adepp “Donne professione” presentato mercoledì 12 luglio 2023 a Roma. «Questa indagine – ha sottolineato durante la presentazione dello studio Tiziana Stallone, vicepresidente Adepp e presidente Enpab – ha scardinato alcune idee preconcette sul gap reddituale di genere, mettendo in evidenza le reali esigenze delle donne. Questo è stato possibile perché siamo andati ad intervistare direttamente le libere professioniste e a colpirci non è stato il senso di discriminazione, le donne infatti non si sentono discriminate, ma la mancanza di un sostegno infrastrutturale per permettere alle professioniste di affrontare situazioni oggettive, quali la genitorialità o la cura dei propri genitori».
«Tra le finalità di questa indagine – ha aggiunto la presidente Stallone – vi è la volontà di individuare un’evoluzione futura del nostro welfare. Ci stiamo interrogando su quanto le nuove tecnologie, come ad esempio infrastrutture digitali per svolgere la professione online, possano essere di utilità, così come una guida ad un modo diverso di svolgere la professione, in forma aggregata, per far sì che si crei un’alleanza tra professionisti».
La presidente dell’Istituto di previdenza dei giornalisti, Marina Macelloni, ha aggiunto: «Le professioniste dedicano meno ore all’attività professionale: a fronte del 59% degli uomini che dedicano più di 8 ore al giorno, le donne si fermano al 40%. Questo perché da una parte devono dedicare molte più ore alla cura dei figli e dei familiari non autosufficienti e dall’altra non sempre possono usufruire di infrastrutture sociali adeguate. Inoltre, anche a causa dell’invecchiamento progressivo della popolazione vengono a mancare gli aiuti attualmente offerti dalle famiglie di origine».
All’evento ha partecipato anche il presidente dell’Adepp e dell’Enpam, Alberto Oliveti: «Tre parole: focus, donne, professione. In esse c’è già una sintesi importante. Credo che la componente femminile nel lavoro sia la nostra chance di rilancio. Per il nostro Paese e per la nostra società. Credo addirittura che il destino del servizio sanitario nazionale passi per l’azione delle donne. Nel campo del mondo del lavoro due sono i temi che devono essere sottolineati: uno è l’accesso al lavoro e l’altro è il mantenimento qualitativo. Credo che il futuro si giochi sulle competenze, sulla battaglia di cultura, soprattutto nelle professioni intellettuali, sulle motivazioni. Così come farà perno sulla flessibilità, che non è soltanto una questione soggettiva, ma ambientale, sociale, di contesto. Importante il concetto di conciliazione che è famiglia, prole, congiunti, con figlie che poi diventano ‘madri’ dei propri genitori. E infine un’altra parola fondamentale è Pil. Alla fine tutto si gioca sulla potenzialità di finanziamento. Per trovare il finanziamento a certe politiche di conciliazione dobbiamo fare prodotto interno lordo».
Dal focus emerge che la differenza di reddito dovuta al genere e riscontrabile in tutte le fasce. Già al momento dell’ingresso nel mercato del lavoro il reddito delle professioniste ‘under 30’ è circa il 20% in meno dei colleghi uomini. Altro elemento di valutazione, trova evidenza nella ‘storicità’ della presenza più massiccia delle donne all’interno di alcune categorie professionali come quelle dei biologi, psicologi, infermieri e veterinari, dove le differenze tra uomo e donna in termini reddituali fino ai ’30 anni’ sono piuttosto contenute (mediamente il 10%).
In linea più generale un fattore che sicuramente incide sul valore medio reddituale e il costante processo di femminilizzazione delle libere professioni infatti, nel periodo 2007-2021, la percentuale di iscritte donne è cresciuta notevolmente, passando dal 30 al 42% del totale ma con grosse differenze per fasce d’età con la conseguenza che l’età media delle donne professioniste è di circa 45 anni, contro i 50 degli uomini, e tra gli ‘under 40’ le donne sono circa il 54%, percentuale che decresce con l’aumentare dell’età.
Alla domanda di chi si occupa dei figli mentre lavori, il 66% degli uomini ha risposto che è la compagna a occuparsene. La stessa domanda posta alle donne ha ricevuto il 17% delle risposte riferite al proprio compagno. Stessa riflessione vale per le professioniste che si dedicano anche alla cura di genitori anziani e/o familiari non autosufficienti: la questione non attiene specificamente alla maternità ma più in generale a tutte le tipologie di cure domestiche
La maggioranza delle professioniste – sia con figli che senza figli, sia del Nord, sia del Sud – ha dichiarato che l’urgenza che andrebbe prioritariamente affrontata per ridurre le disparita e quella legata all’area geografica in cui si esercita la professione e solo dopo quella legata al genere. Una professionista che esercita la sua attività al Nord, è coadiuvata maggiormente nella gestione familiare da figure esterne all’ambito familiare – ad esempio baby sitter, asili, centri ricreativi per l’infanzia – mentre al Sud, poiché le infrastrutture sociali sono meno presenti e inevitabilmente i servizi sono più carenti, l’aiuto della famiglia risulta ancora indispensabile per garantire la conciliazione vita-lavoro.
Pertanto, un elemento determinante nell’aggravare la situazione occupazionale delle madri è l’inaccessibilità dei servizi educativi per la prima infanzia. Sia per una carenza di strutture, sia per questioni economiche. A fronte del 15% degli uomini del Sud che si trasferisce al Nord e del 10% che si trasferisce al Centro, si registra una percentuale ben più elevata delle donne che si trasferiscono: il 21% delle donne del Sud si trasferisce al Nord e il 18% si trasferisce al Centro.