Giornalisti minacciati 19 luglio 2021
«Lo Stato dovrebbe assumersi la responsabilità dell’assassinio» di Daphne Caruana Galizia, la giornalista maltese uccisa con una bomba piazzata nella sua auto il 16 ottobre 2017 che invece di essere protetta è stata esposta ai suoi nemici da un governo corrotto i cui «tentacoli» sono arrivati fino ai vertici della polizia. Sono inequivocabili le conclusioni del rapporto finale dell’inchiesta pubblica condotta – dopo le fortissime pressioni del Consiglio d’Europa – da una commissione composta dagli ex presidenti del Tribunale Michael Mallia, Joseph Said Pullicino e Justice Abigail Lofaro e conclusa la primavera scorsa.
Lo scopo della inchiesta pubblica, durata quasi due anni nei quali sono stati chiamati a testimoniare in drammatiche audizioni anche l’ex premier Joseph Muscat, l’ex capo di gabinetto Keith Schembri e l’ex ministro dell’Energia e poi del Turismo Konrad Mizzi (l’unico che ha rifiutato di rispondere in aula), era quello di stabilire se lo Stato maltese avesse fatto tutto il possibile per proteggere la giornalista e poi perseguire i responsabili dell’omicidio.
Lo Stato, hanno scritto i giudici nel rapporto di 437 pagine pubblicato integralmente dai media maltesi e trasmesso ieri prima al primo ministro Robert Abela (che stamani ha già autorizzato la diffusione pur avendo otto giorni di tempo) poi alla famiglia Caruana Galizia, «ha creato una atmosfera di impunità, generate dai più alti livelli dell’amministrazione all’interno dell’Auberge de Castille (la sede del governo maltese alla Valletta), i cui tentacoli si sono diffusi nelle altre istituzioni, come la polizia e le authority regolatorie portando al collasso dello stato di diritto».
L’inchiesta giudiziaria, tuttora in corso, ha avuto un’improvvisa accelerazione nell’estate 2019 (a quasi due anni dall’arresto dei tre esecutori materiali) con l’individuazione dell’intermediario di morte, Melvin Theuma, che a cascata ha portato all’arresto del tycoon Yorgen Fenech come mandante, alla caduta del governo Muscat e, a febbraio scorso, quello dei capimafia locali che fornirono l’ordigno. Dalle indagini sono spuntate una serie di altre inchieste per corruzione e riciclaggio che hanno portato all’arresto di Keith Schembri. (Ansa)