Giornalisti minacciati 14 settembre 2023
«Il territorio si salva anche con la libera informazione, e per garantire la libertà di stampa nel nostro Paese servono interventi urgenti sull’equo compenso, sulle querele bavaglio, sulla legge sulla presunzione di innocenza». È quanto affermato dal presidente della Fnsi, Vittorio di Trapani, in occasione di una conferenza stampa svoltasi mercoledì 13 settembre 2023 presso il Sindacato unitario giornalisti della Campania sull’emergenza cronisti minacciati in Campania.
Il presidente Di Trapani ha anche annunciato una riunione del “Centro di coordinamento sul fenomeno degli atti intimidatori nei confronti dei giornalisti” del ministero dell’Interno sul caso Campania. L’incontro è stato organizzato dopo le nuove minacce di morte arrivate dal clan dei Casalesi a Marilena Natale e alla sua scorta.
«Sul nostro territorio è a rischio l’agibilità della professione giornalistica, in alcune zone è impossibile informare se non a caro prezzo. Lo testimoniano le storie dei cronisti che abbiamo portato qui oggi, costretti a vivere sotto scorta armata semplicemente perché hanno fatto il loro mestiere», ha detto il segretario generale aggiunto della Fnsi, Claudio Silvestri.
«Le minacce ai cronisti non possono passare in secondo piano nell’agenda di chi deve difendere i giornalisti e la libertà di informare in Italia. Il nostro dovere è arrivare il giorno prima e mai più il giorno dopo come è successo in passato. E penso al caso di Giancarlo Siani in Campania», ha affermato il coordinatore nazionale di Articolo21, Giuseppe Giulietti.
Durante l’incontro si sono susseguite le testimonianze di Paolo Borrometi, responsabile per la legalità della Fnsi, di Marilena Natale, don Antonio Coluccia, Mimmo Rubio, Luciana Esposito e della portavoce regionale di Articolo21, Désirée Klain.
«Io mi sento fortunata – ha raccontato la Natale durante la conferenza stampa, ripresa da Radio Radicale – perché io e miei colleghi siamo protetti, però ci sono tanti giornalisti di alcune testate minori, che per tre euro e cinquanta a pezzo rischiano la vita per raccontare la verità dal territorio. Le mie battaglie sono soprattutto per questi colleghi, che nell’oscurità scrivono e denunciano… Non mi aspettavo quest’ultima minaccia, perché avevo cercato di mantenere un profilo più basso, evitando anche la mia guerra social. Purtroppo la camorra, come diceva la grande Silvana Giusti, che era un funzionario della sezione investigativa antimafia, non dimentica. Io e il collega Mimmo Rubio viviamo in un territorio dove i capi clan stanno in galera e loro figli sono dei cocainomani pericolosi, spesso liberi. Schiavone ha ordinato la mia morte, tra qualche giorno pubblicherò questa lettera, che ho tenuto nascosta, ma adesso sono stanca e penso che avere un profilo basso non serva. Nessuno di voi è in grado di proteggermi, perché la storia ci insegna che se hanno deciso di ucciderti ci riusciranno, quello che mi preoccupa è la mia scorta: insieme hanno otto figli!». «In ogni caso – ha continuato non mi piegheranno – continuerò a portare avanti le mie inchieste, come ho fatto a febbraio scorso con il clan Bidognetti. Partendo da una denuncia di un imprenditore, li ho smascherati sui social e il giorno dopo sono stati arrestati tutti. Nell’ordinanza il mio nome compare più volte, perché grazie alle mie inchieste giornalistiche, video, segnalazioni, sono riuscita a fare battaglie importanti».
Vittima ultimamente di un grave un attentato a Roma, sventato grazie al coraggioso intervento della sua scorta, don Antonio Coluccia da 25 anni si batte contro la criminalità organizzata e lo spaccio di droga in zone degradate della Capitale.
«Dove ci sono casi di degrado e povertà vive la Gomorra – ha detto il prete antimafia – il crimine è affascinante. I ragazzi si confrontano con macchine di lusso, l’organizzazione criminale diventa un welfare. Noi a Roma abbiamo camorra, ‘ndrangheta, mafia nigeriana, organizzazioni criminali albanesi, l’unico interesse che hanno è fare soldi. Mi fanno ridere quelli che parlano di stese, ma le stese ci sono da sempre e non solo a Caivano, ma ovunque. La camorra è la negazione del vangelo di Gesù Cristo e va detto anche ai battezzati, che l’omertà non è un’attitudine cristiana. E quindi i territori vanno vissuti, non solo occupati. Non si può pensare che alcuni quartieri della città di Roma siano impenetrabili. Io agisco con due strumenti, il pallone e il megafono e ringrazio la scorta e la polizia di stato, devo a loro se oggi sono qui, perché poteva andare a finire male. I criminali stanno alzando l’asticella con moto senza targa, non mettono il casco, per farti capire che loro comandano. Loro controllano noi. Devono incutere paura, le stese servono per questo. Se non riusciamo a creare una reazione a questa paura, se noi per primi non scendiamo in campo, non faremo nulla. Don Milani diceva “se sai sei, se non sai sarai di qualcun altro”. Loro sono il welfare, sono l’antistato. Bisogna creare delle alternative, bisogna sconfiggere il degrado e portare cultura e bellezza, garantendo soprattutto servizi essenziali. Noi stiamo condannando i bambini anche di Napoli a non avere una scelta. L’altro giorno sono stato contattato dal quartiere Reginella, da una madre-coraggio che cerca di proteggere i suoi figli. Bisogna muoversi, non solo commuoversi».
Mimmo Rubio lavora dal territorio di Arzano, dove vive sotto scorta armata. Per anni ha collaborato con il quotidiano Roma. Oggi scrive le sue denunce sul suo blog e sulla sua pagina social. Il territorio dove vive è tra i più infestati dalla camorra. In pochi anni il suo Comune è stato sciolto ben tre volte per infiltrazioni camorristiche. Il clan emergente, quello dei Monfregola, è spietato e pronto a tutto per conquistare fette sempre più ampie di territorio. Mimmo ha subito aggressioni personali, una bomba carta è stata fatta esplodere sul suo balcone, ma l’episodio che ha fatto scattare la decisione di dargli una scorta è stato durante il lockdown, quando dalla piazza principale dove si trova la sua abitazione si sono levati cori di minacce nei suoi confronti.
«Io ho vissuto la stesa sotto casa –racconta il giornalista – mentre uscivo dall’automobile, i nuclei specialisti mi hanno blindato e portato in un luogo sicuro, ma noi possiamo vivere in questi territori così difficili? Sono continuamente sorvegliato, abbiamo sentinelle che controllano ogni nostro movimento. Basta con questi quartieri ghetto, con questo abbandono. Oggi fanno più paura i ragazzini camorristi, che sono imbottiti di droga. Con il collega Giuseppe Bianco abbiamo contribuito allo scioglimento per tre volte del Comune di Arzano, per questo riceviamo intimidazioni di ogni tipo, anche querele temerarie. Quello che fa più male è l’isolamento e la delegittimazione. Per anni ho nascosto il video della bomba carta fatta esplodere sotto casa, poi sono stato costretto a mostrarlo, perché c’era qualcuno che aveva ancora dubbi…».
Luciana Esposito, è la direttrice del sito di informazione online da lei fondato “Napolitan.it”. La sua storia è emblematica. Attraverso il suo giornale ha denunciato sempre ciò che avveniva nel suo territorio, il quartiere di Ponticelli, nell’area Est di Napoli, Nel dicembre del 2015 è stata aggredita in uno dei rioni più degradati di quella zona. È partito un processo contro i suoi aggressori che si è chiuso solo nel 2022 con la condanna delle tre persone coinvolte. Un tempo lunghissimo, durante il quale la giornalista ha subito continui attacchi tesi a delegittimarla, molte volte provenienti proprio da associazioni che si occupano della lotta alla camorra. La sua storia evidenzia aspetti fondamentali del rischio al quale sono sottoposti oggi giornalisti che lavorano sulla cronaca locale, che risultano più esposti perché facilmente individuabili in un territorio ristretto e per nulla tutelati dalla legge, troppo lente e lacunosa per le tutele ai giornalisti.
«Un’altra donna in tutti questi lunghi anni del processo –ha raccontato la Esposito –si sarebbe anche potuta suicidare. Ho vissuto questi anni come se fossi io l’imputata e devo ringraziare Articolo21, il SUGC e la Federazione se sono riuscita a resistere a questa macchina del fango. Persone come Marilena vanno aiutate e protette per quello che fanno ogni giorno per il territorio».
«Dobbiamo ringraziare tutti loro – ha detto Paolo Borrometi, presidente di Articolo21 e vice direttore dell’Agi, sotto scorta dal 2014 – perché hanno messo la faccia senza “se” e senza “ma”, così come fa il sindacato, ospitandoli. In certi territori lo Stato non c’è, ma ci sono i preti, i giornalisti. Noi arriviamo sempre dopo, oggi parliamo delle Caivano d’Italia, ma ci sono stati tanti altri episodi, purtroppo altrettanto gravi, che non hanno avuto quella stessa mediaticità. Tra poco ci avviciniamo a due tristissimi anniversari: il 15 settembre sarà l’anniversario di padre Pino Puglisi, il 23 si ricorderà l’uccisione di Giancarlo Siani. Don Antonio Coluccia, mi ha ricordato con il suo discorso, il motivo per il quale Puglisi è stato ucciso, perché con un pallone e una scatola di cartone liberava i ragazzi dal giogo delle mafie. Portava in giro la cultura. Un’arma rivoluzionaria. In certi territori, lo dobbiamo dire chiaramente, lo Stato non c’è, ma ci sono un sacerdote e ci sono dei giornalisti. Quello che mi preoccupa è anche il problema della delegittimazione. Un problema enorme, che è diventato culturale. In questo paese c’è stato un periodo in cui dopo le grandi e drammatiche uccisioni, c’era più attenzione verso le minacce. Oggi si dice che la mafia non spari più, quante avete sentito quest’affermazione. Eppure abbiamo l’esempio di quello che è accaduto a Don Antonio o quello che potrebbe succedere a Marilena, viste le parole di quella gravissima lettera. Il problema culturale è anche di certe istituzioni, altrimenti non si sarebbe detto che il padre Borrometi aveva un incarico all’Eni e quindi è questa la motivazione per cui oggi è condirettore dell’Agi. Nei fatti stanno mettendo in atto una gravissima diffamazione e sto pensando e in questi minuti di querelare un ex alto rappresentante istituzionale».
Dal Sindacato unitario giornalisti della Campania, in occasione della conferenza stampa, sono partiti anche gli auguri di buon lavoro al nuovo capo della Procura di Napoli, Nicola Gratteri.