Lavoro autonomo 6 luglio 2018
«Sull’editoria non ci sono né atti né dichiarazioni incoraggianti. Prevale la voglia di parlare per slogan e di offrire al rancore e alla rabbia dei social un settore vitale per la democrazia e delle sue istituzioni». Il segretario generale della Fnsi, Raffaele Lorusso, a Tagliacozzo (in provincia dell’Aquila) per la sesta edizione del Festival della Comunicazione ‘Controsenso’, risponde così al sottosegretario all’editoria Vito Crimi che, dal blog delle stelle, ha annunciato, fra le altre cose, di voler bloccare i finanziamenti ai giornali.
«Si annuncia – ha spiegato Lorusso – l’abolizione di contributi alla stampa che, ove il sottosegretario Crimi non se ne fosse accorto, non esistono più da anni, a meno che non si vogliano cancellare gli aiuti economici riconosciuti a stampa no profit, cooperative editoriali, stampa diocesana, altra gamba del pluralismo dell’informazione di questo Paese. In questo caso si assume la responsabilità di cancellare un migliaio di posti di lavoro».
Il segretario del sindacato dei giornalisti ha quindi sottolineato che «è stato messo a punto in maniera affrettata e approssimativa, e con evidenti finalità mediatiche, un sedicente decreto dignità che non affronta affatto il problema del contrasto al precariato e al lavoro irregolare nel settore giornalistico. Infine, non ultimo, il governo si prepara ad una nuova stagione di occupazione politica della Rai, attraverso una legge approvata dal governo Renzi, che l’allora opposizione rappresentava come il male assoluto. Il sindacato dei giornalisti contrastò quella legge e continua a contrastarla, prendendo atto che chi dall’opposizione ne chiedeva l’abolizione, oggi si prepara ad applicarla».
Come sindacato, ha concluso Lorusso, «ci siamo sempre confrontati con tutti e continueremo a farlo. I governi si giudicano dagli atti. Se il buongiorno si vede dal mattino, non si profila però nulla di positivo. Stupisce che proprio chi invoca la trasparenza voglia eliminare l’obbligo di pubblicazione delle gare sui giornali. È evidente che si tratta di una scelta che vuole assestare un altro colpo al sistema dell’informazione, facendo venir meno delle risorse. Un’operazione subdola, degna dell’Ungheria e della Russia, modelli illiberali cui guardano numerosi esponenti del governo».
Per Ezio Cerasi, segretario del Sindacato Giornalisti Abruzzesi, «il mondo dell’informazione è in balia di una tempesta perfetta, senza alcun tipo di reazione da parte degli editori che rispetto alla crisi hanno saputo reagire solo con tagli lineari. Un precariato così diffuso e maggioritario – ha aggiunto – ha oggi bisogno di trovare più soluzioni e che siano soluzioni complesse. Alla base di tutto, però, ci deve essere il concetto di comunità, un concetto che possiamo pensare attraverso la figura del sindacato».
Al centro dell’incontro di Tagliacozzo anche il tema del precariato. «Non si può fare informazione se non si è pagati. L’informazione gratuita non è informazione. Allo stesso modo, deve essere chiaro a tutti che i diritti non possono essere diversi, altrimenti il sistema va in crisi e collassa», ha osservato Cerasi.
E il presidente della Commissione nazionale lavoro autonomo della Fnsi, Mattia Motta, ha aggiunto: «Oggi il contratto di cococo rappresenta troppo spesso uno strumento di sfruttamento legalizzato. E a farne le spese sono la qualità dell’informazione e la qualità della democrazia. C’è un mercato dopato, dove troppi iscritti all’Ordine non hanno una posizione Inpgi: significa che non lavorano o che non denunciano quel che guadagnano. È allora necessario estendere a chi lavora tutele, garanzie, servizi e rappresentanza sindacale, per coinvolgere e includere questi colleghi. Nessuno si salva da solo».
Di precariato, oltre che di querele temerarie e di minacce ai cronisti, ha parlato anche il segretario del Sindacato unitario giornalisti Campania, Claudio Silvestri. «L’ottanta per cento degli iscritti alla Gestione separata Inpgi guadagna meno di 5mila euro l’anno. Molti colleghi – ha rilevato – non sanno nemmeno cos’è l’istituto di previdenza. In Campania ci sono 12mila iscritti, milleseicento professionisti, ma in tutto solo il trenta per cento è iscritto all’Inpgi. La fabbrica dei pubblicisti ha procurato danni, non ha creato giornalisti, ma aspiranti. Tutto a danno di chi questa professione la fa, pur in un mercato devastato dalla rivoluzione digitale. Siamo tutti diventati volontari, lavoriamo gratis per colossi come Google e Facebook».