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Vita associativa 23 settembre 2015

Giancarlo chi? Cronaca di un giorno qualunque

giancarlo

 

Trent’anni fa al Mattino, di pomeriggio inoltrato, arriva una notizia in redazione: “Hanno ucciso Giancarlo Siani!”. La prima reazione di molti, tranne che dei colleghi di Cronaca, fu: “E chi è?”.
Il direttore Pasquale Nonno era fuori dal giornale, e anche lui non capì subito la tragedia appena consumata.
Giancarlo non era un giornalista contrattualizzato, non era uno assunto con regolare contratto. Era solo un collaboratore, pagato a tanto il pezzo. Uno che scriveva dalla redazione di Torre Annunziata: allora, nei formidabili anni 80, il Mattino aveva aperto varie redazioni locali (Pozzuoli, Torre Annunziata, ecc.) dove lavoravano, oltre a un redattore del giornale, alcuni giovani che fungevano da “corrispondenti”, ma che spesso non avevano nemmeno un contratto da corrispondenti.
Insomma, Giancarlo era uno di loro. Oggi li chiamano “precari”, allora venivano definiti “abusivi” pur essendo in possesso di regolare tesserino dell’Ordine dei giornalisti.
Giancarlo era, quindi, un “abusivo”.
E Nonno aveva solo di sfuggita conosciuto di persona Siani, aveva letto i suoi pezzi ed era contento del lavoro che svolgeva.
Forse, un giorno – chissà quando – sarebbe stato contrattualizzato o addirittura assunto.
Ma quella sera del 23 settembre del 1985, Giancarlo era solo un giovanotto di balde speranze, bravo, e nient’altro.
Tant’è vero che la prima reazione fu di “nascondere” quel delitto. Di tenere “bassa” la notizia della sua morte: un titolo su un paio di colonne, di piede, in prima pagina. Giancarlo creava imbarazzo al Mattino: non era un redattore, né un collaboratore con contratto. Era nessuno. Ma quel nessuno, ora era lì, riverso in un mare di sangue nella sua Mehari verde sotto casa. E allora? Come sarebbe potuto diventare “uno di noi”?
La decisione di minimizzare l’uccisione, affondò nel giro di un paio d’ore: la rivolta dei redattori, dei suoi colleghi, dei suoi amici della Cronaca di Napoli, dei capi dell’ufficio centrale del giornale fece cambiare idea a Nonno.
E così, con un pizzico di cinismo, Siani divenne il “Cronista del Mattino” ucciso: in apertura di prima pagina e con vari servizi sulla sua morte. “Cronista”, così il giornale si salvò l’anima, arrivando a dire che l’assunzione di Siani era imminente e che solo intoppi burocratici avevano impedito la sua regolarizzazione. Così, Giancarlo divenne uno di noi…
E da quella sera tragica entrò nel mito: “muore giovane chi è caro agli dei”, scrive Menandro e Giacomo Leopardi ne fa l’epigrafe del suo “Amore e morte”. Giancarlo, eroe della libera stampa, Giancarlo giornalista coraggioso, Giancarlo idolo di migliaia di giovani che gridano e cercano riscatto contro la camorra e le mafie.
Nei giorni seguenti la fine di Giancarlo, il Mattino visse il proprio dramma in un’assemblea di redazione storica: un’autentica autodafé in cui i capi della Cronaca fecero autocritica, si scannarono tra di loro accusandosi a vicenda di non aver capito il pericolo a cui avevano esposto il ragazzo. Il capocronista Gianni Campili arrivò a disperarsi, a piangere, a chiedere perdono davanti a tutti per la morte di quel giovane. In quel momento, Gianni assunse su di sé tutte le colpe, anche quelle che non aveva. E forse solo quell’autoflagellazione lenì la rabbia e il dolore
di colleghi che nemmeno conoscevano Giancarlo e chiedevano conto per capire l’abisso in qui era stato precipitato il più grande giornale del Sud.
Dopo quella sera tragica del 23 settembre, nulla fu come prima. E oggi, trent’anni dopo, vedo celebrazioni, film, ricostruzioni, retroscena, libri, su Giancarlo.
Giancarlo eroe: sì – aggiungo io – ma suo malgrado.
E oggi anche io – tra quelli che non lo conoscevano – celebro commosso non il collega, ma il “giovane morto perché caro agli dei”.

Armando Borriello
uno dei redattori del Mattino in quell’assemblea.

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