Inpgi 16 luglio 2021
La presidente dell’Inpgi, Marina Macelloni, replica dalle colonne di InpgiNotizie.it a un articolo dal titolo ‘Inpgi, l’Istituto di previdenza dei giornalisti viaggia verso il default. I vertici tentano di salvarlo con i pannicelli caldi’ pubblicato dal quotidiano diretto da Peter Gomez.
Riproponiamo di seguito il testo come pubblicato sul blog a cura dell’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani (qui il link diretto).
Gentile Direttore,
in merito al contenuto dell’articolo dal titolo “Inpgi, l’Istituto di previdenza dei giornalisti viaggia verso il default. I vertici tentano di salvarlo con i pannicelli caldi” a firma di Fiorina Capozzi e Fabio Pavesi, apparso nella sezione “Media & Regime” del quotidiano da lei diretto, mi corre l’obbligo di segnalarle la presenza di gravi inesattezze che, stravolgendo la realtà storica e documentata dei fatti, offrono una rappresentazione degli stessi fuorviante e gravemente lesiva dell’immagine e del decoro dell’Istituto stesso e dei suoi amministratori.
A prescindere infatti dai toni – a mio parere inappropriati, tenuto conto del profilo istituzionale dell’Ente – delle argomentazioni comunque sviluppate nell’ambito dell’esercizio del legittimo diritto di critica, in particolare intendo richiamare la sua attenzione sulla ricostruzione della presunta composizione del “monte crediti” vantato dall’Inpgi nei confronti delle aziende contribuenti alla Gestione sostitutiva dell’Assicurazione Generale Obbligatoria, presso la quale, come è noto, sono assicurati i colleghi che esercitano la professione nell’ambito di un rapporto di lavoro dipendente.
Nell’articolo si riporta un dato approssimativamente reale, vale a dire circa 270 milioni di euro di crediti contributivi “nominali”, cui corrispondono circa 220 milioni di euro effettivi in quanto 50 milioni di euro non ancora riscossi a fine esercizio 2020 sono stati in realtà, come avviene sempre a causa dei tempi tecnici, incassati nei mesi immediatamente successivi.
Non risponde affatto a verità, al contrario, la ricostruzione della ripartizione dei 220 milioni di crediti effettivi.
Nell’articolo, infatti, si legge: “Nel bilancio dell’Inpgi c’è tuttora un fondo svalutazione di un centinaio di milioni. Una cinquantina di milioni sono incassi che maturano l’anno successivo e un’altra cinquantina sono di aziende nel frattempo fallite. Restano però circa 170 milioni di crediti contributivi persi per strada che oggi servirebbero come oro per i bilanci scassati dell’istituto che ha un saldo negativo sulla sola gestione previdenziale di 200 l’anno”.
Si tratta di una affermazione errata, frutto evidentemente di un equivoco.
Tutti i 220 milioni euro, infatti, sono stati regolarmente attivati attraverso le azioni di recupero giudiziale (decreti ingiuntivi emessi dai Tribunali) che l’Istituto pone in essere nei confronti delle aziende debitrici.
La stragrande maggioranza di tali azioni legali trae origine da accertamenti ispettivi posti in essere dai funzionari dell’Inpgi, che rilevano l’esistenza di irregolarità e omissioni nell’adempimento degli obblighi contributivi nei confronti dell’Istituto.
Nella quasi totalità dei casi, infatti, i datori di lavoro esercitano legittimamente il proprio diritto di difesa, contestando gli addebiti dei verbali ispettivi e avviando, di conseguenza, un contraddittorio. Ciò determina quindi l’instaurazione di una serie di contenziosi legali tra l’INPGI e le aziende debitrici, la cui durata – visti i tempi della giustizia civile – si protrae per svariati anni.
Come tutti sanno e comprendono, questi crediti – fino all’esito del giudizio – non sono ancora giuridicamente incassabili.
Sebbene le statistiche relative agli esiti di tali contenziosi siano estremamente favorevoli all’Istituto, in quanto le pronunce positive per l’Ente si attestano su circa l’85% del volume complessivo, per ragioni prudenziali – legate anche al rischio che, nel corso del procedimento innanzi ai Tribunali, insorga uno stato di insolvenza dell’azienda debitrice – una quota significativa dei crediti in contenzioso viene accantonata, sul piano contabile, presso il relativo fondo di svalutazione.
Si tratta di una operazione prevista dalle norme in quanto improntata ad un criterio di responsabile cautela, che consente di ammortizzare gli effetti economici negativi derivanti da eventuali sentenze sfavorevoli ovvero conseguenti a eventuali fallimenti dei debitori.
Come risulta evidente, quindi, non esiste alcun credito “sparito”, tutto è regolarmente documentato e registrato nella contabilità dell’Ente e quanto riportato nell’articolo in oggetto – che afferma l’esistenza di una presunta somma, quantificata in ben 170 milioni euro, di crediti “svaniti” nel nulla – costituisce un falso che ingenera una evidente lesione dell’immagine dell’Istituto e configura un comportamento gravemente calunnioso, in quanto adombra la sussistenza, a carico dei suoi amministratori, di pesanti responsabilità di gestione del tutto inesistenti.
Sul punto, pertanto, ritengo doverosa una sua presa d’atto con relativa immediata rettifica, ai sensi dell’art. 8 della legge 47/1948.
In ogni caso, rispetto all’intero contenuto dell’articolo, un confronto preventivo con l’Istituto sarebbe stato auspicato perché avrebbe permesso l’acquisizione di utili elementi per approfondire le questioni di cui si voleva trattare.
Cordiali saluti.
Marina Macelloni