Vita associativa 3 novembre 2015
Conferenza stampa questa mattina in Fnsi per presentare la petizione online “No bavaglio” promossa dal professor Stefano Rodotà e dai giornalisti Marino Bisso, Arturo Di Corinto e Giovanni Maria Riccio. “Siamo pronti a portare la mobilitazione fino a Bruxelles – ha detto il segretario generale Raffaele Lorusso – perché purtroppo la voglia di bavaglio sta contagiando troppi Paesi dell’Unione Europea”. Intanto giovedì appuntamento a Piazzale Clodio, a Roma, per raccogliere nuove adesioni all’iniziativa. Portare avanti la mobilitazione, fino alla piazza se necessario, e fino a Bruxelles, per sollecitare l’intervento dell’Unione Europea, dal momento che la voglia di bavaglio si aggira ormai in troppi Paesi del continente. E intanto manifestare giovedì prossimo fuori dall’aula dove si terrà la prima udienza relativa alla vicenda dei 96 giornalisti denunciati per il loro lavoro su ‘Mafia Capitale’. Queste le principali indicazioni emerse nel corso della conferenza stampa organizzata questa mattina nella sede della Fnsi per dire “No” al nuovo tentativo di imbavagliare la stampa rappresentato dalla delega al governo in materia di intercettazioni disposta nell’articolo 30 del ddl di riforma del processo penale in discussione in Parlamento. Anche se molte sono state le proposte lanciate da quanti hanno raccolto l’appello del comitato ‘No Bavaglio’ a partecipare all’incontro.
“La delega al governo è uno strumento sbagliato e pericoloso – ha esordito il segretario generale della Fnsi Raffaele Lorusso aprendo la conferenza stampa – per una materia di rilevanza costituzionale come quella del diritto/dovere di informare. Qualunque sia il colore del governo non possiamo accettare questa logica e non lo faremo”. “Purtroppo bisogna registrare che in tutta Europa cresce la voglia dei governi di mettere il bavaglio alla stampa. Per questo porteremo, se necessario, fino a Bruxelles la battaglia per la libertà di informare”, ha poi spiegato Lorusso.
“Il testo del disegno di legge è scritto male e va stralciato”, ha ribadito il professor Stefano Rodotà, evidenziando il pericolo insito “in una delega in bianco al governo, che esautora il parlamento delle sue normali funzioni e priva i cittadini del diritto di esercitare il controllo democratico sulle leggi”. “Tra l’altro esiste già – ha proseguito Rodotà – una norma in materia ed è quella contenuta nel codice deontologico sulla privacy, che è anche scritto in un italiano che non lascia spazio ad interpretazioni. E ci sono poi le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, che chiaramente stabiliscono come ai personaggi che rivestono ruoli pubblici vada riconosciuto un diritto attenuato alla privacy. L’Italia non può ignorare questo consolidato indirizzo della giurisprudenza”.
“A questo punto bisogna intensificare la mobilitazione – ha rilanciato Arturo Di Corinto, tra i promotori del comitato ‘No bavaglio’ – e far capire a giornalisti, magistrati, politici e cittadini che, ad esempio, se questa norma fosse già realtà noi oggi non sapremmo nulla degli scandali che stanno funestando il Paese”.
Mentre Marino Bisso, altro promotore del ‘No’ al bavaglio, ha posto l’attenzione “sul combinato diabolico tra intercettazioni e diffamazione che metterebbe a rischio il lavoro dei giornalisti”.
Vittorio Di Trapani, segretario Usigrai, ha insistito sulla necessità restituire al parlamento il suo ruolo di luogo deputato alla funzione legislativa, anche su temi come le intercettazioni e la riforma della Rai, ponendo “una questione di metodo che in questi casi diventa sostanza. Attenzione – ha concluso Di Trapani – perché silenziare il diritto di cronaca è solo il primo passo per attaccare gli altri diritti: facciamo capire all’opinione pubblica che ci mobilitiamo per i cittadini”.
Si è invece concentrato sul lavoro dei cronisti il presidente dell’Unci, Alessandro Galimberti, notando come “se passassero le nuove norme i giornalisti si troverebbero a non poter più lavorare, perché sparirebbero gli atti, i documenti e quindi le notizie: dobbiamo tenere alta l’attenzione”, ha concluso Galimberti richiamando la categoria all’unità intorno alla battaglia comune.
“Portiamo la battaglia in parlamento, ma anche nelle redazioni e parliamone nei corsi formazione professionale” è stata la proposta del segretario dell’Associazione stampa romana, Lazzaro Pappagallo, che ha poi ricordato l’appuntamento di domani nella sede della Regione Lazio dove si parlerà di “Diritto di cronaca e lotta alle mafie”.
“I giornalisti non contano più niente, ma è ora di reagire”, è il provocatorio invito di Carlo Bonini, uno dei 96 giornalisti denunciati nella vicenda Mafia Capitale. “Dimostriamo alla politica – ha poi proposto Bonini – che i giornalisti italiani sanno difendersi”.
Beppe Giulietti, portavoce dell’Associazione Articolo21, che invece ricordato la campagna internazionale della Ifj #endimpunity e ha poi rilanciato l’intenzione di spostare battaglia a livello internazionale, il no convinto alla delega e alcune soluzioni alternative “a tutela del soggetto debole, e non del soggetto forte, come l’istituzione dell’udienza filtro, il giuri per l’informazione”.
“Se l’Italia occupa il 73° posto nella classifica mondiale per la libertà di stampa – ha detto il segretario Lorusso a conclusione dell’incontro – è a causa del fenomeno delle querele temerarie, delle minacce ai giornalisti ma anche di alcuni provvedimenti normativi. Se sarà necessario – ha concluso Lorusso – porteremo la mobilitazione in piazza, ma intanto i giornalisti continuino a dare le notizie: la stella polare deve essere il diritto dei cittadini ad essere correttamente informati”.