Vita associativa 11 novembre 2020
«Care colleghe e cari colleghi, in questi mesi di pandemia non si fermano i casi di femminicidio, punta dell’iceberg della violenza contro le donne. Raccontiamola in modo corretto: basta parlare di raptus! Basta giustificare gli assassini! Basta ai facili moventi come la depressione e la gelosia! Basta far ricadere sulle donne la responsabilità della loro morte! La grave crisi che sta attraversando il nostro Paese sta mettendo sotto pressione anche la nostra categoria. Ma proprio in un momento complesso come questo dobbiamo dare prova di essere capaci di narrare quanto accade nella consapevolezza della grande responsabilità che abbiamo nei confronti di chi ci legge e ascolta». Inizia così la lettera aperta che Mimma Caligaris, presidente Cpo Fnsi, Paola Dalle Molle, coordinatrice Cpo Cnog, Silvia Garambois, presidente GiULiA Giornaliste e Monica Pietrangeli, coordinatrice Cpo Usigrai rivolgono alle giornaliste e ai giornalisti dopo gli ultimi casi di cronaca.
«Abbiamo elaborato il Manifesto di Venezia, a cui hanno aderito liberamente centinaia di giornaliste e giornalisti – spiegano – nel tentativo di offrire uno strumento di lavoro utile ad inquadrare in modo corretto il fenomeno. Sappiamo che molte e molti si sforzano di farlo ogni giorno. Ancora troppo spesso però ci dimentichiamo, scrivendo i nostri articoli o servizi radiofonici e televisivi, che la violenza contro le donne non può essere ridotta a meri fatti di cronaca. Che si tratta di un fenomeno strutturale della nostra società e come tale abbiamo il dovere di raccontarlo: violenza contro le donne in quanto donne, per questo è necessario utilizzare la parola ‘femminicidio’».
Da qui l’appello «al senso di responsabilità di ciascuna e ciascuno. L’omicida di Torino, solo l’ultimo di molti esempi, non ha avuto un raptus, lo sterminio che ha compiuto non è nato dal nulla. I dati – incalzano le Cpo e l’associazione Giulia Giornaliste – ci raccontano che il gesto finale di eliminazione della propria compagna, moglie, ex arriva dopo un lungo periodo di violenze e soprusi. Non rendiamo vittime una seconda volta le donne assassinate, non cadiamo in queste narrazioni tossiche, diamo valore alla nostra libertà di informare».